Terzo Settore
LA LEGISLAZIONE DEL TERZO SETTORE
La legislazione attualmente esistente sul Terzo settore è frutto di interventi legislativi che si sono succeduti nel corso del tempo, in qualche modo indipendenti l'uno dall'altro, ed esigono una revisione organica che metta insieme i vari pezzi e li modifichi all'uso di una visione unica.
In tale direzione, anche se con molto ritardo, si è mosso il nostro Legislatore: il 9 aprile 2015, la Camera dei Deputati ha concluso l'esame in prima lettura del Disegno di Legge del Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e del servizio civile universale. Il provvedimento, approvato dal Senato con modifiche il 30 marzo 2016, è stato trasmesso alla Camera che, nella seduta del 25 maggio 2016, lo ha approvato in via definitiva senza più modificarlo.
Sulla “G.U.” n. 141 del 18 giugno 2016, è stata, quindi, pubblicata la Legge 06.06.16, n. 106, “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, in vigore dal 03.07.16, finalizzata ad operare una riforma complessiva degli enti privati del Terzo settore e delle attività dirette a finalità solidaristiche e di interesse generale.
In particolare, il Legislatore si è posto l'obiettivo di operare un riordino complessivo ed organico della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti, relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, in attuazione del principio di sussidiarietà. Ciò, al fine di sostenere la libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune, elevare i livelli di cittadinanza attiva, coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona, valorizzando al contempo il potenziale di crescita e occupazione del settore, in attuazione degli articoli 2, 3, secondo
comma, 4, 9, 18 e 118, comma 4, della Costituzione.
In attuazione di tale legge, dunque, il Governo ha dapprima emanato il D.Lgs. 06.03.17, n. 40 (“Istituzione e disciplina del servizio civile universale”); quindi, nel marzo 2017, con atto n. 403 ha approvato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante l'approvazione dello statuto della “Fondazione Italia sociale”,
dal quale è derivato il D.P.R. del 28 luglio 2017 (pubblicato sulla “G.U.” del 09.09.17).
Da ultimo, il 18 luglio 2017, è stato pubblicato sulla “G.U.” il D.Lgs. 111/17 sul 5 per 1000, il 19 luglio 2017 il D.Lgs. 112/17 sulla disciplina dell'Impresa sociale e il 2 agosto 2017 il corposo D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo settore), che con i suoi 104 articoli raggruppati in 12 titoli, disciplina gli enti del Terzo settore in
generale (Titolo II), il volontariato e la relativa attività (Titolo III), le associazioni e le fondazioni del Terzo settore (Titolo IV), le particolari categorie di enti quali le associazioni di promozione sociale e gli enti filantropici. Viene, inoltre, istituito il Registro unico nazionale del Terzo settore (Titolo VI), nonché vengono regolamentati gli aspetti tributari e fiscali e inserite nuove disposizioni e procedure in tema di controlli (Titolo XI).
Si ricorda però che l'attuazione completa della riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale avverrà non prima del 2019, perché affidata ad altri importanti passaggi. Per tradurre in pratica le nuove disposizioni, infatti, servono circa una quarantina di atti, fra provvedimenti
dei ministeri e autorizzazioni dell'Unione europea. Dunque, tutti gli organismi che operano nel sociale hanno ancora tempo per adeguare gratuitamente i propri statuti alle nuove prescrizioni legislative e, quindi, per iscriversi nel Registro unico nazionale del Terzo settore.
Tipi e funzioni degli enti del Terzo settore
Fino ad oggi, dal punto di vista legale, non è stato facile definire il Terzo settore, non solo perché ci siamo fin qui trovati di fronte ad una miriade di previsioni
normative e prassi amministrative, ma anche perché sono mancati i criteri in base ai quali definire quale ente appartenesse al Terzo settore.
Con la legge di riforma in esame, allora, dopo lustri e lustri di vani tentativi, il Legislatore all'articolo 1, comma 1, ha finalmente fatto un po' di chiarezza: «Per
Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che,
in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi».
Sul punto, poi, nel dettaglio è sceso il D.Lgs. 117/17, che all'articolo 4, elenca i singoli enti rientranti nel Terzo settore: «sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici (novità!), le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative (novità!), le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore». E ne esclude altri: «non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, co. 2, del D.Lgs. 30.03.01, n. 165 (ovvero tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli IACP, le Camere di commercio e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitari nazionale), le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o / controllati dai suddetti enti (…)». Anche un'associazione o una fondazione, dunque, se dirette o controllate da tali enti (valutatane la compagine sociale, i fondatori, ecc.), non saranno enti del Terzo settore, e conseguentemente, non potranno beneficiare dei vantaggi di varia natura a questi ultimi riservati.
Alla luce di tale previsione, nonché della preesistente normativa di settore che rimarrà in vigore perché non toccata dal processo riformatore (esempio, quella sulle organizzazioni non governative, ovvero quella sulle associazioni sportive dilettantistiche), scorgiamo sia organizzazioni che svolgono prevalentemente una funzione produttiva (quali le cooperative sociali e le imprese sociali), sia realtà (come le fondazioni) aventi prevalentemente una funzione erogativa – finalizzata a sostenere l'attuazione di interventi di welfare a livello locale da parte di altre organizzazioni del Terzo settore – oppure una funzione di advocacy, intesa quale tutela dei diritti delle fasce deboli della popolazione (ODV e APS). Il Terzo settore italiano, tuttavia, ha assunto sempre più una funzione orientata alla produzione e all'erogazione di servizi sociali; e ciò è stato determinato dal loro coinvolgimento, da parte delle amministrazioni locali, nella produzione di tali servizi.
La funzione produttiva, pertanto, ha assunto sempre più una rilevanza centrale all'interno dell'azione di cooperative sociali e imprese sociali, ma la vocazione di questi soggetti rimane di matrice “sociale”; la funzione produttiva è prettamente strumentale alla generazione di utilità sociale per gli utenti. I dati quantitativi relativi a tali soggetti ci provengono dall'ultimo “Censimento delle Istituzioni Non Profit” dell'ISTAT, il quale ha stimato, nel decennio 2001/2011, che il non profit è il settore più dinamico del sistema produttivo italiano, con un aumento del 28% degli organismi e del 39,4% degli addetti, per un totale di 301.191 istituzioni non profit. Il settore, infatti, ha potuto contare sul contributo lavorativo di 4,8 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 271 mila lavoratori esterni e 6 mila lavoratori temporanei. Nel tessuto produttivo italiano, allora, il non profit occupa una posizione significativa, con il 6,4% delle unità economiche attive.
Dal punto di vista della distribuzione geografica, poi, quasi la metà dei dipendentiimpiegati in tali istituzioni (46%) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia
Romagna, mentre il settore dell'assistenza sociale è quello a maggior intensità di addetti (225.000) e sono quasi 5 milioni i cittadini che svolgono la loro attività in
modo volontario in un gruppo o in una organizzazione.
L'indagine ISTAT ha anche rilevato che esiste una forte relazione tra lavoro volontario, istruzione e situazione economica della famiglia; la percentuale di chi presta attività volontarie cresce con il titolo di studio. Le risorse economiche movimentate, inoltre, sono ingenti: il censimento stima in 64 miliardi le entrate a fronte di 57 miliardi di uscite. La prima fonte di finanziamento è il finanziamento privato.
La legislazione attualmente esistente sul Terzo settore è frutto di interventi legislativi che si sono succeduti nel corso del tempo, in qualche modo indipendenti l'uno dall'altro, ed esigono una revisione organica che metta insieme i vari pezzi e li modifichi all'uso di una visione unica.
In tale direzione, anche se con molto ritardo, si è mosso il nostro Legislatore: il 9 aprile 2015, la Camera dei Deputati ha concluso l'esame in prima lettura del Disegno di Legge del Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e del servizio civile universale. Il provvedimento, approvato dal Senato con modifiche il 30 marzo 2016, è stato trasmesso alla Camera che, nella seduta del 25 maggio 2016, lo ha approvato in via definitiva senza più modificarlo.
Sulla “G.U.” n. 141 del 18 giugno 2016, è stata, quindi, pubblicata la Legge 06.06.16, n. 106, “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, in vigore dal 03.07.16, finalizzata ad operare una riforma complessiva degli enti privati del Terzo settore e delle attività dirette a finalità solidaristiche e di interesse generale.
In particolare, il Legislatore si è posto l'obiettivo di operare un riordino complessivo ed organico della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti, relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, in attuazione del principio di sussidiarietà. Ciò, al fine di sostenere la libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune, elevare i livelli di cittadinanza attiva, coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona, valorizzando al contempo il potenziale di crescita e occupazione del settore, in attuazione degli articoli 2, 3, secondo
comma, 4, 9, 18 e 118, comma 4, della Costituzione.
In attuazione di tale legge, dunque, il Governo ha dapprima emanato il D.Lgs. 06.03.17, n. 40 (“Istituzione e disciplina del servizio civile universale”); quindi, nel marzo 2017, con atto n. 403 ha approvato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante l'approvazione dello statuto della “Fondazione Italia sociale”,
dal quale è derivato il D.P.R. del 28 luglio 2017 (pubblicato sulla “G.U.” del 09.09.17).
Da ultimo, il 18 luglio 2017, è stato pubblicato sulla “G.U.” il D.Lgs. 111/17 sul 5 per 1000, il 19 luglio 2017 il D.Lgs. 112/17 sulla disciplina dell'Impresa sociale e il 2 agosto 2017 il corposo D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo settore), che con i suoi 104 articoli raggruppati in 12 titoli, disciplina gli enti del Terzo settore in
generale (Titolo II), il volontariato e la relativa attività (Titolo III), le associazioni e le fondazioni del Terzo settore (Titolo IV), le particolari categorie di enti quali le associazioni di promozione sociale e gli enti filantropici. Viene, inoltre, istituito il Registro unico nazionale del Terzo settore (Titolo VI), nonché vengono regolamentati gli aspetti tributari e fiscali e inserite nuove disposizioni e procedure in tema di controlli (Titolo XI).
Si ricorda però che l'attuazione completa della riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale avverrà non prima del 2019, perché affidata ad altri importanti passaggi. Per tradurre in pratica le nuove disposizioni, infatti, servono circa una quarantina di atti, fra provvedimenti
dei ministeri e autorizzazioni dell'Unione europea. Dunque, tutti gli organismi che operano nel sociale hanno ancora tempo per adeguare gratuitamente i propri statuti alle nuove prescrizioni legislative e, quindi, per iscriversi nel Registro unico nazionale del Terzo settore.
Tipi e funzioni degli enti del Terzo settore
Fino ad oggi, dal punto di vista legale, non è stato facile definire il Terzo settore, non solo perché ci siamo fin qui trovati di fronte ad una miriade di previsioni
normative e prassi amministrative, ma anche perché sono mancati i criteri in base ai quali definire quale ente appartenesse al Terzo settore.
Con la legge di riforma in esame, allora, dopo lustri e lustri di vani tentativi, il Legislatore all'articolo 1, comma 1, ha finalmente fatto un po' di chiarezza: «Per
Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che,
in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi».
Sul punto, poi, nel dettaglio è sceso il D.Lgs. 117/17, che all'articolo 4, elenca i singoli enti rientranti nel Terzo settore: «sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici (novità!), le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative (novità!), le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore». E ne esclude altri: «non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, co. 2, del D.Lgs. 30.03.01, n. 165 (ovvero tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli IACP, le Camere di commercio e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitari nazionale), le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o / controllati dai suddetti enti (…)». Anche un'associazione o una fondazione, dunque, se dirette o controllate da tali enti (valutatane la compagine sociale, i fondatori, ecc.), non saranno enti del Terzo settore, e conseguentemente, non potranno beneficiare dei vantaggi di varia natura a questi ultimi riservati.
Alla luce di tale previsione, nonché della preesistente normativa di settore che rimarrà in vigore perché non toccata dal processo riformatore (esempio, quella sulle organizzazioni non governative, ovvero quella sulle associazioni sportive dilettantistiche), scorgiamo sia organizzazioni che svolgono prevalentemente una funzione produttiva (quali le cooperative sociali e le imprese sociali), sia realtà (come le fondazioni) aventi prevalentemente una funzione erogativa – finalizzata a sostenere l'attuazione di interventi di welfare a livello locale da parte di altre organizzazioni del Terzo settore – oppure una funzione di advocacy, intesa quale tutela dei diritti delle fasce deboli della popolazione (ODV e APS). Il Terzo settore italiano, tuttavia, ha assunto sempre più una funzione orientata alla produzione e all'erogazione di servizi sociali; e ciò è stato determinato dal loro coinvolgimento, da parte delle amministrazioni locali, nella produzione di tali servizi.
La funzione produttiva, pertanto, ha assunto sempre più una rilevanza centrale all'interno dell'azione di cooperative sociali e imprese sociali, ma la vocazione di questi soggetti rimane di matrice “sociale”; la funzione produttiva è prettamente strumentale alla generazione di utilità sociale per gli utenti. I dati quantitativi relativi a tali soggetti ci provengono dall'ultimo “Censimento delle Istituzioni Non Profit” dell'ISTAT, il quale ha stimato, nel decennio 2001/2011, che il non profit è il settore più dinamico del sistema produttivo italiano, con un aumento del 28% degli organismi e del 39,4% degli addetti, per un totale di 301.191 istituzioni non profit. Il settore, infatti, ha potuto contare sul contributo lavorativo di 4,8 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 271 mila lavoratori esterni e 6 mila lavoratori temporanei. Nel tessuto produttivo italiano, allora, il non profit occupa una posizione significativa, con il 6,4% delle unità economiche attive.
Dal punto di vista della distribuzione geografica, poi, quasi la metà dei dipendentiimpiegati in tali istituzioni (46%) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia
Romagna, mentre il settore dell'assistenza sociale è quello a maggior intensità di addetti (225.000) e sono quasi 5 milioni i cittadini che svolgono la loro attività in
modo volontario in un gruppo o in una organizzazione.
L'indagine ISTAT ha anche rilevato che esiste una forte relazione tra lavoro volontario, istruzione e situazione economica della famiglia; la percentuale di chi presta attività volontarie cresce con il titolo di studio. Le risorse economiche movimentate, inoltre, sono ingenti: il censimento stima in 64 miliardi le entrate a fronte di 57 miliardi di uscite. La prima fonte di finanziamento è il finanziamento privato.