Il settore degli Enti ecclesiastici è quello in più larga misura riformato dall'accordo stipulato tra Stato e Chiesa Cattolica nel 1984 e dalle successive intese con altre confessioni religiose. Il Concordato Lateranense del 1929, col richiedere come unica condizione per il riconoscimento degli enti quella che questi fossero eretti dall'Autorità Ecclesiastica secondo le norme del Diritto Canonico, attribuiva allo Stato solo il potere di riconoscere agli effetti civili ciò che l'autorità della Chiesa aveva costituito.
Il nuovo sistema pattizio ha forgiato la categoria degli Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (in cui sono ora ricompresi sia gli enti cattolici, sia quelli appartenenti ad altre confessioni religiose), assoggettandola ad una disciplina sostanzialmente uniforme; ha, inoltre, ridefinito i presupposti per il riconoscimento, dando particolare rilievo al requisito dello scopo.
L'articolo 7 dell'Accordo del 18.02.1984, ratificato con Legge 25.03.85, n. 121, riproduce al primo comma il testo dell'articolo 20 della Costituzione Italiana, rendendolo parte integrante dell'Accordo, e dispone al secondo comma che: “ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi”.
I requisiti necessari per ottenere la qualifica di Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto sono, perciò: la costituzione o approvazione da parte dell'Autorità ecclesiastica, la sede in Italia, il fine di religione o di culto. Tale fine deve essere costitutivo ed essenziale, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal Diritto canonico; e deve, perciò, rappresentare la ragion d'essere dell'ente e non uno scopo sussidiario rispetto ad altre finalità istituzionali.
Il riconoscimento come Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto non potrà essere concesso qualora siano perseguite attività definite “diverse” da quelle di religione o di culto, cioè «attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro (Legge 222/85, art. 16, lettera b), ma l'ente potrà pur sempre ottenere il riconoscimento come persona giuridica di diritto comune od operare come associazione non riconosciuta.
Né è escluso che “attività diverse” da quelle di religione e culto possano essere svolte dall'ente civilmente riconosciuto ai sensi della normativa pattizia, ma dovrà trattarsi di iniziative secondarie e strumentali rispetto allo scopo primario, nel cui svolgimento l'ente è soggetto alle leggi dello Stato concernenti tali attività.
Il comma 3 dell'art. 4 del D.Lgs. 117/17 è specificamente dedicato agli enti religiosi (e alle fabbricerie di cui all’art. 72 della Legge 20.05.85, n. 222) civilmente riconosciuti, ed individua i limiti e le condizioni di applicabilità a questi enti delle norme del Codice del Terzo settore, nel rispetto dei medesimi patti, accordi o intese e tenendo conto della particolare natura di tali enti. Esso recita: “agli enti religiosi civilmente riconosciuti (e alle fabbricerie di cui all’art. 72 della Legge 20.05.85, n. 222) le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5 (e quindi non alle attività di religione e di culto ex art. 16, lett. a, Legge 222/85), a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'art. 13. I beni che compongono il patrimonio destinato sono indicati nel regolamento, anche con atto distinto ad esso allegato. Per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di cui agli articoli 5 e 6, gli enti religiosi civilmente riconosciuti e le fabbricerie di cui all'articolo 72 della legge n. 222 del 1985 rispondono nei limiti del patrimonio destinato. Gli altri creditori dell'ente religioso civilmente riconosciuto o della fabbriceria non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento delle attività di cui ai citati articoli 5 e 6”.
Sul punto, per avere una visione d'insieme dell'incidenza della riforma del Terzo settore in esame sull'attività sociale posta in essere dagli enti ecclesiastici, si evidenzia in primis che, a differenza di altri tipi di organizzazioni, gli enti religiosi che decideranno di svolgere le attività di interesse generale di cui all'articolo 5, previo deposito nel Registro unico nazionale del Terzo settore dei relativi regolamenti, non saranno tenuti a indicare nella denominazione sociale la dizione di ente del Terzo settore o l'acronimo ETS (art. 12, co.2, D.Lgs. 117/17), né saranno obbligati a far esaminare agli associati o agli aderenti i libri sociali (art. 15, co. 4, D.Lgs. 117/17).
Inoltre, l'art. 26 che disciplina l'organo di amministrazione nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, al comma 5 consente all'atto costitutivo o allo statuto di attribuire la nomina di uno o più amministratori a soggetti esterni all'ente, tra i quali gli enti religiosi. Ciò anche nelle fondazioni del Terzo settore il cui statuto preveda la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato. Il comma 3 dell'articolo 29, poi, dichiara non applicabile il medesimo articolo agli enti religiosi civilmente riconosciuti di cui all'art. 4, co. 3., che estende agli enti del Terzo settore la previsione di cui all'art. 2409 del Codice civile e stabilisce che ogni associato, ovvero almeno un decimo degli associati nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, che hanno più di 500 associati, può denunziare i fatti che ritiene censurabili all'organo di controllo, se nominato, il quale deve tener conto della denunzia nella relazione all'assemblea.
L'art. 82 del decreto in esame, rubricato “Disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali”, al comma 6 stabilisce che gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali del Terzo settore di cui all'art. 79, co. 5, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, co.1, lettera a), della Legge 20.05.85, n. 222, sono esenti dall'imposta municipale propria e dal tributo per i servizi indivisibili a determinate condizioni e limiti.
Ancora, l'art. 89 che si occupa di coordinare la normativa esistente, al comma 2 prevede che le norme di cui al co. 1, lettera b) (esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni e dalle imposte ipotecaria e catastale) continuano ad applicarsi ai trasferimenti a titolo gratuito, non relativi alle attività di cui all'art. 5, eseguiti a favore degli enti religiosi civilmente riconosciuti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore; al comma 3 prevede che l'art. 145 del TUIR, approvato con D.P.R. 22.12.86, n. 917 (“Regime forfetario degli enti non commerciali”), si applica agli enti religiosi che non sono iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore, mentre a quelli iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore l'articolo 145 si applica limitatamente alle attività diverse da quelle elencate all'art. 5; al comma 5, prevede che all'articolo 6 del D.P.R. 29.09.73, n. 601 (“Riduzione dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche”), è aggiunto, infine, il seguente comma: “(…) ai soggetti di cui all'art. 4, co. 3, Codice del Terzo settore, iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore, la riduzione si applica limitatamente alle attività diverse da quelle elencate all'art. 5 del medesimo decreto legislativo”.