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Le Associazioni di promozione sociale (APS) per lunghi anni disciplinate dalla Legge 07.12.00, n. 383 (oggi abrogata), hanno trovato un'espressa collocazione nell'ambito degli ETS: “Sono enti del Terzo settore…le associazioni di promozione sociale...”, recita l'art. 4, comma 1, del D.Lgs. 117/17, il quale dedica due articoli (35 e 36) alla sua specifica disciplina.

Ai sensi dell'art. 35, infatti, le APS sono enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, da un numero non inferiore a 7 persone fisiche (novità assoluta!) o a tre associazioni di promozione sociale per lo svolgimento in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi di una o più attività di cui all'articolo 5 (attività di interesse generale) avvalendosi in modo prevalente dell'attività di volontariato dei propri associati.

Il comma 2 dell'articolo contiene specifiche limitazioni già presenti nella Legge n. 383/200, per cui non si considerano associazioni di promozione sociale i circoli privati e le associazioni comunque denominate che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all'ammissione degli associati o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale.

Gli atti costitutivi delle APS possono prevedere l'ammissione come associati di altri enti del Terzo settore o senza scopo di lucro, a condizione che il loro numero non sia superiore al cinquanta per cento del numero delle associazioni di promozione sociale.

Tale previsione non si applica agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI che associano un numero non inferiore a cinquecento associazioni di promozione sociale.

La denominazione sociale deve contenere l'indicazione di associazione di promozione sociale o l'acronimo APS. L'articolo 36, in continuità con quanto già previsto dalla Legge n. 383 del 2000, prevede che le associazioni di promozione sociale possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell'attività d'interesse generale e al perseguimento delle finalità.

Viene comunque fatta salva la disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 17, per cui la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria, per garantire e tutelare il lavoratore impedendo che la sua prestazione possa essere (anche in elusione alla vigente normativa lavoristica) considerata in parte come prestazione lavorativa e in parte come prestazione volontaria.

In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell'attività non può essere superiore al 50% del numero dei volontari o al 5% del numero degli associati. Ad essi sono applicabili le disposizioni, in quanto compatibili, prevista dal D.Lgs. 117/17 (costituzione, amministrazione, responsabilità, agevolazioni fiscali, ecc.), per le altre realtà del Terzo settore.

In generale, quanto alle risorse economiche necessarie a svolgere le loro attività, le APS possono contare sulle quote e sui contributi degli associati; sulle eredità, donazioni e legati; sui contributi dell'UE, dello Stato, delle regioni e degli enti locali; ma anche sulle entrate derivanti da prestazioni di servizi convenzionati, sui proventi delle cessioni di beni e servizi agli associati e ai terzi, sui proventi di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, se secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, nonché sulle erogazioni liberali degli associati e dei terzi e sulle entrate derivanti da iniziative promozionali. Sono tenute ad iscriversi nel Registro unico nazionale del Terzo settore (c.d. RUNTS).