Il mio ultimo articolo sul Corriere della Sera (C. Sociale), sul mondo “insano” del Non Profit, per informarci e tutelarci meglio dai lupi mascherati da agnelli.
La questione che maggiormente preoccupa tutte le famiglie in cui un proprio componente (generalmente un figlio) presenta una disabilità fisica, psichica o sensoriale, è certamente quella legata all’invecchiamento dei genitori: in loro assenza, che cosa ne sarà dei figli incapaci a gestire autonomamente la propria vita?
Fino ad oggi, di fronte a un progressivo arretramento dello Stato, per assicurare alle persone disabili, prive di idonea sistemazione familiare, modalità di vita indipendente anche con soluzioni abitative autonome e para-familiari, molti interventi di supporto sono stati offerti dal mondo del volontariato e del privato sociale, ma si è trattato di interventi sostitutivi posti in essere in un quadro normativo nazionale assolutamente lacunoso, riferibile perlopiù alla Legge-quadro 328/2000 sull’assistenza e alla Legge-quadro 104/1992 sull’integrazione sociale. Per provare, allora, a superare le attuali situazioni di “isolamento” in strutture di ricovero, favorendo invece la possibilità di “vita in casa” per le persone con disabilità grave e prive di sostegno familiare, il nostro Legislatore ha emanato la Legge n. 112 del 22.06.16, c.d. “Dopo di noi”, con la quale ha riconosciuto il diritto dei disabili a poter scegliere insieme ai loro genitori dove vivere e con chi vivere, evitando per quanto possibile l’istituzionalizzazione (ovvero il ricovero in grandi strutture), e consentendogli, per esempio, di continuare a vivere nelle proprie case o in “più familiari” strutture gestite da associazioni. Gli strumenti messi in campo da tale norma sono molteplici, e vanno dall’istituzione di un fondo ad hoc, all’esonero dall’imposta di successione e donazioni e l’applicazione in misura fissa delle imposte di registro, ipotecarie e catastale, sui trasferimenti di beni e diritti conferiti in trust o gravati da vincoli di destinazione o destinati a fondi speciali istituiti da privati, enti e associazioni in favore delle persone con disabilità grave. Su cosa accadrà adesso, rispetto all’accesso agli interventi sostenuti con le risorse (poche) messe in campo, è lecito interrogarsi. Dipenderà molto dalle regioni che, una volta inviate (lo scorso febbraio) al competente Ministero le linee di indirizzo dei programmi regionali per l’attuazione della legge in questione, dovranno emanare, senza ulteriori esitazioni, atti normativi per stabilire come utilizzare i fondi che sono stati loro affidati con decreto attuativo del 23.11.16 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per promuovere i progetti di vita per il “Dopo di Noi”. Ciò, nella consapevolezza che, al di là delle sterili – ma fondate – polemiche, ad esempio, sulla ridotta platea dei beneficiari (non tutti potranno permettersi le polizze assicurative o ricorrere ai trust), o sulla scarsità dei fondi stanziati, etc., sarà molto importante che le Regioni colgano il potenziale di eventuali forme di collaborazione nate dal basso sui singoli territori attraverso l’attivazione di reti che comprendano il mondo istituzionale con funzioni di regia (ASL – Comuni e/o Piani di Zona), il mondo associativo, quello della cooperazione sociale e delle fondazioni di erogazione, quali soggetti di proposta e di attuazione, non escludendo il mondo delle professioni (notai, avvocati, commercialisti, etc.) insieme al mondo del credito e delle assicurazioni, con funzioni di supporto qualificato alle scelte dei progetti di vita. Occorrerà adesso impegnarsi tutti per costruire il percorso attuativo! (Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Giuliano Poletti – Sottosegretario Bobba) Va aggiunto che per trovare soluzioni concrete bisognerá coinvolgere un numero sempre maggiore di imprese – dotate di figure professionali adeguatamente formate e qualificate – e la società civile nelle sue realtà associative (Terzo settore), ed invogliarle ad attuare buone pratiche, anche con azioni di reti territoriali e interaziendali. Occorrono accordi volti a definire le priorità d’intervento e di gestione tra la Chiesa, le amministrazioni pubbliche, le realtà del Terzo settore e il mondo delle imprese, ciascuno con le proprie risorse economiche ed umane. Arcivescovo di Napoli, Cardinale Crescenzio Sepe, 100 Vescovi Sindaco Luigi De Magistris, Governatore De Luca, Governo nazionale Ministro De Vincenti.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18.06.16, è stata pubblicata la Legge 06.06.16, n. 106, “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, (Matteo Renzi, Luigi Bobba, Poletti) finalizzata ad operare una riforma complessiva degli enti privati del Terzo Settore e delle attività dirette a finalità solidaristiche e di interesse generale. Tale riforma era attesa da tempo, perché l’attuale legislazione sul Terzo Settore è frutto di interventi legislativi che si sono succeduti disordinatamente nel corso del tempo, indipendenti l’uno dall’altro, che esigevano una revisione organica. Nell’attesa, allora, che il Governo adotti entro maggio-luglio 2017 (si spera!) i decreti legislativi che daranno attuazione a tale previsione normativa, va ricordato che tra i diversi soggetti del Terzo settore, l’impresa sociale si caratterizza per un maggiore orientamento al mercato, dato che svolge una normale attività imprenditoriale, opera nell’interesse generale avendo come mission lo sviluppo socio-ambientale del territorio in cui opera, e gestisce il profitto in modo tale da rendersi autosufficiente, limitando così il ricorso agli atti di liberalità e alle sempre più scarse sovvenzioni pubbliche. Purtroppo, fino ad oggi, tale tipo di impresa ha avuto difficoltà a svilupparsi pienamente: poche centinaia sono le organizzazioni private che hanno acquisito la qualifica di impresa sociale, e ciò anche per le esigue ragioni economiche di vantaggio che l’attuale disciplina dettata dal D.Lgs. 155/2006 (che continuerà a spiegare i suoi effetti fino all’adozione dei richiamati decreti attuativi), concedeva ai finanziatori che intendevano avvicinarsi a tale tipo di impresa. Per allontanarsi, allora, dalle logiche meramente assistenzialistiche e volontaristiche, era necessario introdurre nel tessuto giuridico dell’impresa sociale elementi che incoraggiassero lo sviluppo dell’imprenditoria sociale, favorendo un nuovo modo di fare impresa che tende a superare la distinzione tra interessi pubblici e interessi privati, indirizzandoli entrambi al raggiungimento di una condizione di benessere sociale più elevata e che può aiutare a trovare vie d’uscita alla crisi economica attuale, anche favorendo l’ingresso di nuovi capitali nel Terzo settore. Penso, a tal proposito, alle previsioni contenute nell’articolo 9, lettera f), numeri 1 e 2 della Legge in esame, concernenti la possibilità per le imprese sociali di accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative, ovvero le agevolazioni volte a favorire gli investimenti di capitale, o ancora il fondo rotativo per il finanziamento degli investimenti a condizioni agevolate, nonché all’introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarietà e di altre forme di finanza sociale finalizzate a obiettivi di solidarietà sociale previsti dalla successiva lettera h e all’assegnazione di immobili pubblici non utilizzati o sottratti alla criminalità organizzata (lettera i). Appare, pertanto, anacronistico e poco rispondente alle esigenze sociali ed economiche attuali l’ostruzionismo opposto al rinnovamento dell’impresa sociale da quanti, durante il percorso parlamentare della richiamata riforma del Terzo settore, scorgevano nella facoltà concessa all’impresa sociale di distribuire (limitatamente) i propri utili, il potenziale rischio di concorrenza sleale nei confronti delle imprese tradizionali, non ravvisando quindi la portata innovativa di tale riforma, anche nella parte in cui concede alle imprese sociali la possibilità di remunerare il capitale e di distribuire parte degli utili, incentivando in tal modo gli investitori a puntare su tale tipo di società.
Avv. Giuseppe Brandi. Il mio ultimo articolo per sottolineare come i pesanti gangli della macchina burocratica, malgrado la buona volontà di tutti, rallentino le buone pratiche per l’arte, la cultura e il bene sociale. P.S. Nuturalmente “la pigione” e non “il pigione”; trattasi di errore di stampa. Comune di Napoli, Assessorati Attività produttive, Cultura, Patrimonio. CORRIERE DELLA SERA, CORRIERE SOCIALE, LUCIANO FONTANA
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Dicembre 2020
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